La potatura non è un’operazione molto onerosa, sia in termini di tempo che a livello economico. Questo se viene effettuata con regolarità: in questo modo si potrà intervenire in modo meno invasivo. Ci saranno meno polloni da eliminare e meno legno da eliminare.
Un approfondimento: come eliminare i residui della potatura
Nella precedente comunicazione si è già spiegato a grandi linee come eliminare il residuo della potatura. La pratica tradizionale è la bruciatura dei rami. Questi vengono accumulati il luoghi specifici dell’oliveto, lontano dalle piante e soprattutto da boschi, macchia mediterranea e zone incolte. Si vede assolutamente evitare che si inneschino incendi. Spesso si brucia facendo piccoli mucchi a ridosso di muri o rocce.
Per molti anni proprio la pratica della bruciatura delle potatura è stata una delle cause di incendi boschivi. La prevenzione e il maggiore senso di responsabilità degli olivicoltori hanno diminuito questo pericolo.
Le regole fondamentali da seguire in caso di bruciatura di residui di potatura
bruciare sempre in giornate con assenza di vento;
bruciare sempre materiale appena potato (la foglia verde genera meno fiamma);
i siti di abbruciamento devo essere lontano da aree a rischio di innesco (aree arbustive abbandonate o con sottobosco particolarmente fitto);
nel caso che ci sia una distanza di meno di 100 m da case o da aree a rischio di innesco si deve acquisire il necessario permesso dal Corpo Forestale dello Stato. Questo almeno in Liguria.
Lo stesso Corpo Forestale dello Stato vigila su queste pratiche e quando le condizioni ambientale risultano particolarmente pericolose emana un ordinanza trasmessa ai sindaci un cui si vieta questa pratica.
Cosa abbiamo fatto nel nostro oliveto ?
Nell’Oliveto della Riviera Ligure abbiamo utilizzato un sistema meccanico. I rami sono stati accumulati al centro dei maggiori terrazzamenti dove poteva muoversi un piccolo trattore. Quest’ultimo ha condotto sul posto una macchina dotata di martelli rotanti che sminuzza le ramaglie. Si produce così un tappeto vegetale che può controllare le erbe infestanti e reintrodurre sostanza organica nel ciclo biologico.
Dove si pone questo tappeto vegetale non è necessario sfalciare l’erba.
Il nome comune locale di questo attrezzo è “trincia”. In Liguria però non si può utilizzare ovunque, dato il territorio acclive. Il suo costo è indubbiamente importante, ma fa risparmiare tempo, ha un impatto ambientale nullo ed azzera il rischio di incendio. Come si è notato nel precedente grafico di spesa, il lavoro è stato effettuato in una sola giornata di lavoro da due operatori: uno ha preparato le fascine lungo i terrazzamenti e l’altro è passato sopra le fascine con il trattore.
Lo sfalcio
Nelle aree dei terrazzamenti non interessate dall’eliminazione dei residui di potatura è stato necessario lo sfalcio dell’erba mediante decespugliatore a spalla. Si tratta di un intervento approvato a livello biologico. È necessario in primavera, per impedire che l’erba infestante cresca in modo eccessivo e poi, seccando, diventi pericolosa per l’innesco di incendi.
La fioritura
A primavera inoltrata (da maggio a giugno a seconda della posizione altimetrica) incomincia uno dei momenti più delicati per il nostro oliveto: la fioritura.
I boccioli fiorali si evidenziano sui germogli di due anni. La differenziazione avviene a fine inverno, dunque un mese prima. In quella fase alla base delle foglie si notano gli abbozzi delle gemme fiorali.
I fiori sono molto piccoli, bianchi e riuniti in grappoli (dette mignole) nel numero tra 15 e 40 a seconda della varietà (per la taggiasca tra 15 e 18).
I fiori dell’olivo (bianchi con quattro petali saldati alla base) sono ermafroditi cioè possiedono contemporaneamente apparati maschili e femminili. La contemporanea maturazione di quelli femminili e maschili fa si che spesso avvenga l’autofecondazione. La taggiasca ad esempio è una varietà autofertile. Altre varietà italiane non lo sono e necessitano di varietà “amiche” per l’impollinazione grazie al vento.
Il fiore non presenta nettari perché l’impollinazione è prevalentemente anemofila, cioè avviene per azione del vento. La piena fioritura è seguita dalla caduta dei petali dopo di che, se è avvenuta la fecondazione, l’ovario incomincia ad ingrossarsi per diventare un frutticino (allegagione).
La percentuale di allegagione (numero dei frutti riportato al numero dei fiori aperti) è molto variabile nelle prime settimane a partire dalla piena fioritura poiché molti frutticini cadono.
Per questo, per valutare la consistenza della allegagione è necessario attendere almeno 60 giorni dalla piena fioritura.
Quest’anno si è avuto un inverno piovoso. Potenzialmente gli alberi non hanno avuto stress idrici. La mancanza di acqua è uno dei principali fattori di limitazione produttiva. Oltre a questo è necessario fare riferimento all’alternanza produttiva dell’olivo: ad un anno di grande produzione, come quello della stagione appena trascorsa, segue un anno di minore produzione.
Per avere una produzione costante negli anni è cosa buona: potare periodicamente; raccogliere al più presto il frutto, dato che mantenere il frutto per lungo tempo costringe la pianta ad un periodo di nutrimento più lungo dello stesso; mantenere le piante non alte (meno legno vuol dire maggiore risorsa per l’attività produttiva), concimare in modo corretto ed equilibrato; utilizzare prodotti per favorire l’allegagione, in particolare prodotti a base di un microelemento, il boro.
Nel nostro oliveto, a partire da metà maggio hanno incominciato a differenziarsi i primi bottoni fiorali: la produzione sembra essere notevolmente inferiore all’anno scorso ma risulta ancora molto presto per fare una stima in questo senso.
AZIONE |
Costi (al netto dell’IVA) |
Sfalcio con decespugliatore, una giornata
Trattamenti fogliari |
210,00 135,00 |
E una volta ?
Cari amici, una volta c’era molto da fare nell’oliveto in questo periodo. Oltre alla bruciatura dei residui della potatura, si falciavano le malerbe sul terreno a mano. Si impiegava la falce missoria, che necessitava di continua manutenzione della lama affinché tagliasse in modo efficace.
Il terreno veniva mosso con il lavoro di uno pesante rastrello, detto erpice, trainato da buoi: questo per areare le radici, permettere la penetrazione del concime organico e alla fine avere un terreno pulito sul quale raccogliere le olive durante l’inverno, in modo manuale. E, va detto, il terreno doveva essere pulito “come il dorso di una mano”.
Infine, dato che un tempo non si sapeva che la taggiasca fosse autofertile, si poneva attenzione a collocare olivi di cultivar diversa per l’impollinazione. Capita ancora oggi che un osservatore attento noti piante ormai simili alla taggiasca, ma con olive diverse, magari più grosse. Sono proprio gli impollinatori che, come si dice, piantavano “gli antichi”.
Ultima cosa: se le olive ci sono per avere la buona annata si vedono in un momento che si dice “al calare dai prati”. È quando a fine settembre le greggi ovine e le mandrie bovine scendono nelle stalle invernali dopo l’estate passata sulle alture delle Alpi liguri.