Alle pendici del Monte di Portofino, a Nozarego, una collina che si affaccia sul Golfo del Tigullio, Umberto Costa ha ripreso la tradizionale attività della sua famiglia bonificando terreni abbandonati, fasce di terra che da antichi e produttivi oliveti erano diventate l’habitat di soffocanti edere e impenetrabili rovi e asilo di cinghiali. Tutto sembrava ritornare a una dimensione non antropizzata. Anche i muri a secco, frutto di estremi sacrifici, erano ormai a terra. E non si poteva più apprezzare un paesaggio in cui si poteva ammirare l’equilibrio tra intervento umano e madre Natura.
Umberto Costa ricordava la vita del frantoio e la ritualità di un tempo ciclico, rurale, collegato alla produzione olearia e al rispetto della Terra. Si parla di passione, che ha coinvolto l’intera famiglia, fino ai nipoti.
L’impresa ha visto la bonifica delle aree olivate, le potature attente, le buone pratiche colturali e l’impiego i mezzi moderni per la raccolta, oltre all’attenzione per il frantoio a ciclo continuo. Nonostante la modernità, la fatica per la coltivazione in pendenza dell’olivo ligure è sempre quella.
La storia parla chiaro: il Levante ligure, come il Ponente, era una delle Riviere che forniva olio d’oliva a Genova improduttiva, dal punto di vista agricolo, ma finanziaria e commerciale. Il monte di Portofino, tra Genovesato e Tigullio, diventa il regno della Lavagnina. Preziosa cultivar che è di fatto la leggendaria Taggiasca ponentina trasferita a Levante.
Santa Margherita Ligure, sul mare, in quanto emporio ed approdo, aveva i suoi frantoi da quando l’olivicoltura era diventata importante per la resa economica. Ovvero da quando nel tardo Medioevo le cultivar sono selezionate e si individuano progressivamente i terreni più adatti alla coltura.
Si parla di cultivar come la Lavagnina, la Pignola, nota e presente anche in Provincia di Savona e la rara Mattana, utile all’impollinazione. Si è ancora nel tempo della coltura in “aggregato”, accanto alla vigna, contraddistinta dalla presenza di vitigni tipici ed autoctoni. Gli incubatori dello sviluppo olivicolo sono le “ville”. Vere e proprie residenze di delizie, ma anche centri di sviluppo agricolo, con specifici terreni destinati all’autoproduzione delle piante. Parliamo delle Ville Aviglia, Durazzo, Furco, Piaggio, Pistella, di Spagna e Marciane. E forse in Marciane c’è il riferimento ad un fondo romano ligure.
Nozarego, dove prosperano gli alberi dell’Azienda Agricola Santa Barbara, è compreso tra la celebre località Paraggi e Costasecca. È una regione agricola già nominata in documenti del 1143, con riferimento alla presenza del noce. Come a Nogareto nel territorio di Pigna, val Nervia, Provincia di Imperia. In ogni caso è terreno oleario ormai consolidato nel XVII secolo: nel 1697 la produzione d’olio in Santa Margherita Ligure era così ripartita tra i terreni appartenenti alle sue parrocchie: Nozarego 28% (terreni compresi tra Paraggi e Costasecca), San Giacomo 14%, Santa Margherita 21%, San Siro 24%, Portofino 13%.
Il percorso è lungo e l’olio arriva anche in Sud America: nel 1871 Giuseppe Costa spedì al proprio figlio Giovanni Battista, nonno dell’attuale produttore, 14 barili di olio di Nozarego a Santiago del Cile.
Dalla spremitura a freddo di lavagnine e pignole nasce l’olio extra vergine Santa Barbara. Le sue qualità organolettiche di olio fragrante, dal perfetto equilibrio tra amaro e piccante e dal fruttato intenso con retrogusto di pinolo, lo rendono particolare e adatto a esaltare la cucina mediterranea. Da marzo 2014 ha l’idoneità alla DOP Riviera Ligure menzione Riviera di Levante e ha vinto la medaglia d’oro al Premio Leivi 2014, miglior olio DOP della Riviera di Levante.
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