Clima che cambia, patogeni che si adattano e assumono maggiore importanza rispetto al passato. Durante il consueto sopralluogo in oliveto alcune foglie ingiallite e con tacche necrotiche hanno attirato la nostra attenzione: si tratta degli esiti dell’azione del fungo Venturia oleaginea (già noto come Spilocaea oleaginea) conosciuto come occhio di pavone. In molti casi i sintomi dell’attacco sono poco visibili durante l’inverno, ma le temperature relativamente elevate dell’inverno 2023-2024 e la mancata/ridotta pausa invernale dell’attività della pianta riducono il periodo di latenza e favoriscono il proliferare di questo patogeno.
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La situazione climatica descritta nell’articolo precedente a questo mostra un andamento favorevole al fungo; temperature tra i 10 e i 24 °C e una bagnatura fogliare di 18 ore predispongono la germinazione delle spore e la formazione del micelio; le giornate di “macaja” (o di “caligo”, a seconda delle zone) con temperature relativamente elevate sono quindi favorevoli all’occhio di pavone, le spore cui “volano” per non più di 10 metri, portate dal vento, diffondendo la specie. Il periodo di incubazione può durare anche parecchi mesi, risultando più breve nel periodo invernale (15-20 giorni).
I sintomi principali sono quelli a carico delle foglie, nelle quali il fungo penetra attivamente e, successivamente, si ha la rottura dell’epidermide e la sporulazione sulla pagina superiore delle foglie; qui compaiono le caratteristiche aree cloritiche (ovvero decolorate) concentriche la cui dimensione può arrivare a 1,5 cm; altre parti colpite sono i rametti e, nella tarda primavera anche le drupe (in generale le parti verdi della chioma). Attacchi gravi possono portare ad una defogliazione molto intensa con disseccamento di intere porzioni di chioma e conseguente perdita produttiva.
Quindi…che fare? Prima di tutto, riflettere sul fatto che è necessario intervenire abbassando il potenziale di inoculo (ovvero la presenza del fungo e delle spore) e quindi diminuendo numericamente la possibilità di attacco, arrivando dall’estate all’inverno con meno pressione del fungo. In secondo luogo, favorire l’arieggiamento della chioma e condizioni di buona illuminazione di tutta la parte aerea della pianta; va evitato anche l’eccesso azotato che favorisce la produzione di nuova vegetazione più sensibile all’attacco e con possibilità di formazione di zone ombreggiate, più umide.
In questo periodo è utile procedere a trattamenti preventivi con prodotti rameici. In tal caso si utilizzano poltiglia bordolese ad azione lenta, ossicloruro di rame ad azione più rapida, idrossido con caratteristiche intermedie; anche il solfato di rame ma in questo caso ci possono essere problemi di “ustioni” per fitotossicità. Sono principi attivi che agiscono devitalizzando le spore (i conidi) presenti sulla chioma e che determinano anche la caduta delle foglie infette; a questo primo intervento ne segue generalmente un secondo da eseguire prima della fioritura.
Il rame, pur ammesso anche in agricoltura biologica, è un metallo pesante che tende ad accumularsi nelle catene alimentari e il cui rinnovo dell’autorizzazione all’impiego è oggetto di ampia discussione a livello normativo.
Ci sono alternative? Dalla propoli al bicarbonato, dalla dodina ai biostimolanti e induttori di resistenza, passando per batteri e funghi iperparassiti (parassiti di parassiti) le conoscenze sono in continuo aumento, come vedremo prossimamente.