La campagna olearia volge al termine: si raccoglie ancora in qualche oliveto, collocato entro la profondità delle vallate. Si è anche iniziata la potatura. C’è stata pioggia, neve ad alta quota e un abbassamento delle temperature non eccessivo. In ogni caso le problematiche fitosanitarie sono ferme, come riscontrato nell’oliveto dimostrativo.
In ogni caso le temperature non troppo rigide e la bagnatura fogliare prolungata mantengono un certo potenziale batterico di Pseudomonas savastanoi sulla superficie vegetale che possono penetrare in modo passivo attraverso le aperture naturali come gli stomi (le aperture naturali sulla pagina inferiore delle foglie) o tramite le ferite di potatura o quelle, microscopiche, legate al distacco delle olive.
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In caso di attacco, più avanti, in primavera, si potranno vedere sintomi infettivi. Si sono già esaminate alcune possibilità di difesa con prodotti a base di rame, tradizionalmente utilizzati con l’uso di batteri antagonisti; un’ulteriore possibilità è quella legata all’impiego degli induttori di resistenza.
Ma di cosa si tratta?
È dunque opportuno stimolare una precoce attivazione delle naturali difese della pianta (sviluppate nel corso di millenni e risultanti in geni specifici) attraverso l’impiego di sostanze chimiche, o anche di microrganismi, che generano una “cascata” di segnali chimici entro la struttura del vegetale. In questo modo è possibile attivare una reazione precoce nei confronti di attacchi patogeni e anche nei confronti di situazioni di stress.
Anziché intervenire sul patogeno, si interviene sulla pianta ospite, potenziandone i meccanismi di difesa naturali. Questi, per funzionare, possiedono generalmente un interruttore di accensione: gli induttori di resistenza detti anche elicitori o molecole segnale.
Il meccanismo di autodifesa delle piante può essere di tipo passivo, quale, ad esempio, l’ispessimento delle pareti cellulari o attivo, mediante la produzione di determinate tossine o necrosi di porzioni di tessuti. In genere si tratta di una manifestazione ampia, attiva nei confronti di più agenti dannosi. e, in genere, si manifesta ad ampio spettro, contro più agenti patogeni. Allora questi ultimi non possono resistere al prodotto, come fanno ormai certi batteri nei confronti degli antibiotici.
La tossicità di questa serie di prodotti di intervento è inferiore a quella dei fitosanitari tradizionali e possono agire anche in assenza del patogeno; di fatto si produce una stimolazione generale, sistemica, per l’autodifesa della pianta. Pertanto si parla di resistenza sistemica acquisita (SAR).
In campo assicurano una bassa protezione e pertanto sono da considerarsi prodotti ad azione preventiva. È bene utilizzarli in programmi di difesa ben strutturati. La loro efficacia è fortemente influenzata dal momento del trattamento, dalla fase di sviluppo della pianta e dalla combinazione con altri prodotti.
Gli induttori di resistenza impiegabili contro la rogna sono sostanze contenenti azoto, fosforo, amminoacidi e altri elementi che vanno impiegate nelle prime fasi del risveglio vegetativo, in assenza di attacchi di patogeni, con trattamenti di concimazione fogliare e ripetuti a intervalli di 15-20 giorni durante le varie fasi del ciclo vegetativo.
La potenzialità di utilizzo è elevata ma il loro impiego, come detto, è legato ad altri interventi ben programmati. Si tratta di un metodo a ridotto impatto ambientale e di tipo preventivo con il quale è possibile contrastare l’insediamento e la diffusione del batterio parassita; la tossicità acuta degli induttori di resistenza è piuttosto bassa. Insomma, si corrono meno pericoli durante la somministrazione.
Studi recenti hanno dimostrato l’efficacia di alcuni induttori di resistenza sull’ “occhio di pavone”…ma ne parleremo prossimamente.