Durante il consueto sopralluogo settimanale nell’Oliveto della Riviera si osservano anche le trappole per la cattura massale della mosca dell’olivo vuote (abituati a ben altri valori!), la visita (sgradita) di cinghiali che hanno effettuato una involontaria lavorazione superficiale del terreno e la presenza, come detto, fortunatamente sporadica, di tubercoli sui rami e sul fusto delle piante di olivo: rogna!
In quest’ultimo caso, l’uso degli agevolatori nella fase di raccolta, la potatura e gli eventi atmosferici (vento, gelate e, più raramente, grandine) costituiscono le possibili cause di ferite (anche piccole o molto piccole) dalle quali il batterio Pseudomonas savastanoi pv. savastanoi può penetrare nei tessuti.
In genere i tubercoli sono facilmente riconoscibili dalla forma sferoidale, inizialmente dalla superficie piuttosto liscia che poi tende a imbrunirsi per necrosi (morte) delle cellule. Il batterio induce una anomala produzione di ormoni vegetali che determinano, per l’appunto, la formazione del tubercolo (“tumore”); l’azione parassitaria è legata quindi alla capacità di sfruttamento delle cellule della pianta che, iperstimolate, richiamano sostanze nutritive dalle parti sane portando nel tempo all’indebolimento e poi alla morte del ramo o del settore interessato. Nei casi più gravi i sintomi sono osservabili anche sulle foglie.
Risulta quindi importante cercare di effettuare la potatura in periodi asciutti, così da limitare la diffusione del patogeno e limitando il più possibile i tagli di grandi dimensioni che sono una potenziale via di ingresso di questi batteri che poi si stabiliscono nei vasi xilematici (ascendenti, il cui flusso di linfa grezza va dalle radici alla chioma) soprattutto nei periodi meno caldi ma non eccessivamente freddi (ottimo di sviluppo tra 20 e 25 °C ma l’intervallo utile è tra 10 e 30 °C!) e l’umidità è elevata. Queste condizioni climatiche sono tipiche dell’autunno e della primavera che sono anche i periodi nei quali provochiamo le ferite delle piante durante la raccolta e la potatura.
L’uso di prodotti a base di rame dopo la raccolta, preferibilmente assai rameici (idrossido, ossicloruro) che apportano più rame in forma metallica rispetto a prodotti come la poltiglia bordolese, consente di sanificare la superficie vegetale e ridurre le possibilità di infezione; il rame tuttavia è un metallo pesante soggetto a bioaccumulo nella catena alimentare, sottoposto anche a limitazioni relative alla quantità massima che può essere distribuita (quantità massima pari a 28 kg di rame metallo/ettaro ogni 7 anni e 4 kg di rame metallo/ettaro per anno).
Quindi…qualche alternativa? Sono possibili applicazioni di microrganismi antagonisti (quale il Bacillus subtilis, commercializzato in diversi ceppi e formulazioni, attive anche nei confronti di altre avversità quale l’occhio di pavone), l’impiego della propoli come corroborante-biostimolante e l’impiego di induttori di resistenza (ne parleremo nelle prossime puntate), ovvero quelle sostanze in grado di amplificare la capacità di risposta della pianta all’attacco del patogeno, riconoscendolo anche nelle fasi iniziali dell’attacco.